Ricorso (ex art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87) della Regione del Veneto (c.f. 80007580279), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, Luca Zaia, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale del 9 luglio 2020, giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi (c.f. BRTMRA48T28L483I) del foro di Padova; Franco Botteon (c.f. BTTFNC61L01M089S) dell'Avvocatura regionale; nonche' dall'avv. Andrea Manzi (c.f. MNZNDR64T26I804V) del foro di Roma, presso il quale e' domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5 (fax: 06.3211370; pec abilitata: andreamanzi@ordineavvocatiroma.org), contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, domiciliato ex lege presso l'Avvocatura generale dello Stato, in via dei Portoghesi, n. 12 - 00186 Roma. Per conflitto di attribuzioni riguardante l'avviso di rettifica relativo al decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute sostegno a lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epimedeologica da COVID 19» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - del 20 maggio 2020, n. 129, nella parte che attiene all'art. 112. Per violazione dell'art. 77 Cost. e degli articoli 3, 5, 97, 114, 118, e 119 Cost. Fatto 1. - Come e' noto, alcune Regioni, piu' di altre, sono state interessate dalla pandemia da coronavirus: denominata, pure, -emergenza epidemiologica Covid-19. Incerti il tempo e il luogo d'ingresso, ed anche i caratteri del virus, mentre ricerche in atto tendono a far risalire a fine 2019 la prima diffusione del malanno in Italia, quel che e' certo e' che «l'Organizzazione mondiale della sanita' il 30 gennaio 2020 ha dichiarato l'epidemia da Covid-19 un'emergenza di sanita' pubblica di rilevanza internazionale», mentre con «delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (...) e' stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili» (cosi', nelle premesse del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, assunto ex decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, a proposito del quale, e non solo, v., ad es., G.M. Salerno, Diritto «emergenziale»: un opportuno riordino per ristabilire i principi, in Guida al Diritto, n. 17/2020, 25 ss.; M. Clarich - G. Fonderico, Il legislatore cerca di riportare al "centro" i poteri di ordinanza, ivi, 29 ss., nonche' M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell'emergenza, in Rivista A.I.C., n. 2/2020, e A. Celotto, Necessitas non habet legem? Prime riflessioni sulla gestione costituzionale dell'emergenza coronavirus, Mucchi Editore, Modena, 2020). Viste le incertezze incombenti e, quindi, «in conseguenza del perdurare delle straordinarie esigenze connesse allo stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, per l'anno 2020» (primo comma), «I termini di scadenza degli stati di emergenza (...), in scadenza entro il 31 luglio 2020 e non piu' prorogabili ai sensi della vigente normativa, sono prorogati per ulteriori sei mesi» (quarto comma): cosi', l'art. 14 del decreto-legge 19 marzo 2020, n. 34, cosiddetto Rilancio. 2. - Il carattere particolarmente aggressivo del virus, largamente diffusosi in alcuni territori del Nord d'Italia, ha costretto il Governo e le Regioni interessate ad adottare misure particolarmente restrittive di talune essenziali liberta': a cominciare da quella di circolazione e soggiorno, di cui all'art. 16 Cost. Non a caso, si e' parlato, in proposito, di blocco totale di ogni attivita', con conseguenze metaforicamente riconducibili agli arresti domiciliari di massa, imposti dalla gravita' degli eventi. E' evidente che una simile situazione ha avuto pesantissime ricadute sul piano economico e sociale, tant'e' vero che ha indotto il Governo a intervenire con provvidenze ad hoc. 3. - Di esse si occupa, tra l'altro, l'art. 112 del citato decreto-legge n. 34/2020, la cui rubrica e' Fondo comuni ricadenti nei territori delle Province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza e comuni dichiarati zona rossa. Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 maggio 2020, n. 128, e' il seguente: «1. In considerazione della particolare gravita' dell'emergenza sanitaria da Covid-19 che ha interessato i comuni delle Province di cui al comma 6 dell'art. 18 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, nonche' i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi, e' istituito presso il Ministero dell'interno un fondo con una dotazione di 200 milioni di euro per l'anno 2020, in favore dei predetti Comuni. Con decreto del Ministero dell'interno, da adottarsi entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e' disposto il riparto del contributo di cui al primo periodo sulla base della popolazione residente. I comuni beneficiari devono destinare le risorse di cui al periodo precedente ad interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l'emergenza sanitaria da Covid-19. All'onere derivante dal presente articolo, pari a 200 milioni di euro per l'anno 2020, si provvede ai sensi dell'art. 265». Ma nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo, il 20 maggio, n. 129, compare un avviso di rettifica cosi' concepito: «Nel decreto-legge citato in epigrafe, pubblicato nel sopra indicato supplemento ordinario: - alla pagina 111, all'art. 112: nella rubrica le parole: «e comuni dichiarati zona rossa» sono soppresse; al comma 1, primo periodo, le parole: «nonche' i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi,...» sono soppresse». Che cosa e' accaduto? Come si precisera' tra breve, la rimozione - conseguente alla citata soppressione di incisi - dei comuni delle Province di Padova, Treviso e Venezia dal novero degli enti, che hanno subito le note mutilazioni inferte ai territori qualificati come zone rosse (oggi, se ne parla anche per eventuali risvolti di carattere penale: v., ad es., P. Russo, Industrie aperte in Val Seriana: nuova inchiesta, in il mattino di Padova, 15 giugno 2020, 5, e F. Ratto Trabucco, Fra omissioni, contraddizioni e riduzionismo: le responsabilita' degli organi deputati alla sanita' pubblica italiana nella prevenzione della pandemia Covid-19, in corso di pubblicazione), ha comportato una sicura lesione di molteplici parametri costituzionali: in particolare, degli articoli 3, 5, 114, 118 e 119, per una evidenza a dir poco solare, che trova il suo piu' generale fondamento nell'antico precetto, secondo cui Ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio. Come, del resto, il Consiglio dei ministri aveva deciso - salvo la dubbia rettifica -, essendo evidente che il suo Presidente ne conosce il significato: che e' di «Principio giuridico rilevante in tema di interpretazione della legge, in virtu' del quale si ritiene che casi simili debbano essere regolati da norme di legge ispirate dalla stessa ratio legis: si tratta di un'applicazione specifica del principio della parita' di trattamento, per il quale a casi simili devono corrispondere norme simili» (F. del Giudice, Dizionario giuridico romano, Esselibri, Napoli, 2010, 515). 4. - Del resto, per convincersi della bonta' di questo rilievo - che e', al tempo stesso, conclusione e premessa - e' sufficiente prendere in esame il dettato normativa, frutto dell'emergenza sanitaria. Si tratta di fatti a tutti noti, non contestabili: a) Come ognuno ricordera', dopo molte incertezze - dipese dal diffondersi di notizie contrastanti, nebulose nei loro significati e insuscettibili di costituire la base di provvedimenti consapevoli -, il Governo ha approvato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13 (abrogato, in parte, dall'art. 5 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19). E' l'atto avente forza di legge-base, che ha suscitato non poche perplessita' sul piano costituzionale, data l'indeterminatezza, in particolare, dell'enunciato dell'art. 1, primo comma, il cui inciso finale e' il seguente: «le autorita' competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica». Il secondo comma elenca talune misure tipiche, mentre l'art. 2 consente l'adozione di ulteriori misure atipiche. A sua volta, l'art. 3 afferma che «Le misure (...) sono adottate (...) con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonche' i Presidenti delle Regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola Regione o alcune specifiche Regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale» (in proposito, ad es., G.M. Salerno). Un federalismo malato incapace di assicurare la tenuta dei principi, in Guida al Diritto, n. 14/2020, 8 ss., e A. Celotto, Necessitas non habet legem?, cit., 9 ss. e 43 ss.). b) «Preso atto dell'evolversi della situazione epidemiologica, del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e dell'incremento dei casi anche sul territorio nazionale; Preso atto che sul territorio nazionale e, segnatamente, nella Regione Lombardia e nella Regione Veneto, vi sono diversi comuni nei quali ricorrono i presupposti di cui all'art. 1, comma 1, del richiamato decreto-legge» n. 6/2020 (v. sub a), il Presidente del Consiglio dei ministri decide di intervenire con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 (in pari data), il cui art. 1 reca questa significativa rubrica: «Misure urgenti di contenimento del contagio nei comuni delle Regioni Lombardia e Veneto». Due sono le Regioni interessate, all'origine: Lombardia e Veneto. I comuni indicati nell'allegato 1 ricomprendono, quanto al Veneto, il Comune di Vo', ed e' ad essi che si applicano le piu' drastiche limitazioni, come si ricava dalla lettura di questi disposti: «a) divieto di allontanamento dai comuni di cui all'allegato 1, da parte di tutti gli individui comunque presenti negli stessi; b) divieto di accesso nei comuni di cui all'allegato 1» (art. 1, primo comma). Seguono ulteriori limitazioni, destinate ad essere estese all'intero territorio nazionale. c) «Visto che si sono verificati finora 25 casi nel territorio della Regione del Veneto nei Comuni di Vo' (PD) e di Mira (VE) (...). Preso atto dell'evolversi della situazione epidemiologica globale (...). Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 22 febbraio 2020, e ai sensi dell'art. 32 della legge n. 833/1978 (...)», e' assunta l'ordinanza 23 febbraio 2020, sottoscritta dal Ministro della salute e dal Presidente della Regione del Veneto. L'oggetto e': «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19. Regione Veneto». d) Le limitazioni piu' restrittive - sono stati denominati i relativi ambiti territoriali dalla vulgata zone rosse - sono state confermate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1º marzo 2020, che ha ampliato il numero degli enti territoriali interessati (allegati 1, 2 e 3). Atto normativo, che ha anticipato il ben piu' importante e significativo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, di ulteriore ampliamento della zona de qua (Allargata la «zona rossa» e inasprite le azioni di contenimento dell'infezione, in Guida al Diritto, n. 14/2020, 46 ss.). Ai fini del presente giudizio, pare sufficiente richiamare qualche essenziale disposto, il quale consente, fin d'ora, di chiarire quali sono stati gli enti territoriali colpiti da singolari limiti restrittivi e di che trattasi. Ebbene, «Ritenuto necessario procedere a una rimodulazione delle aree nonche' individuare ulteriori misure a carattere nazionale», il Presidente del Consiglio dei ministri decreta - per il tramite dell'art. 1, primo comma - che «Allo scopo di contrastare e di contenere il diffondersi del virus Covid-19 nella Regione Lombardia e nelle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Ernia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure», tra le quali si segnalano - ma l'elenco e' lungo - quelle destinate: a «a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche' all'interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita' ovvero spostamenti per motivi di salute, e' consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza»; a porre un «c) divieto assoluto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus» (a puro titolo esemplificativo delle limitazioni di talune essenziali liberta', costituzionalmente previste e tutelate, v., ad es., T. Padovani, Lotta al Coronavirus: le norme penali in «collisione» con la Costituzione, in Guida al Diritto, n. 23, 23 maggio 2020, 8 ss., ed E. Fragasso jr, Il processo penale a distanza, la Costituzione ed i provvedimenti emergenziali contro la Covid-19, in dis Crimen, 22 giugno 2020, con ampie riflessioni sul sistema delle fonti). Si e' notato, in proposito, che «Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, individua zone geografiche diverse e misure ad hoc in base al livello di 'rischio' corrispondente. Sono previste: misure di contenimento del contagio nella 'zona rossa'; misure per il contrasto e il contenimento nel territorio nazionale; misure di informazione e prevenzione sull'intero territorio nazionale; un piano di monitoraggio» (G. Buffone, Chiusi musei e locali per evitare interazioni in tutto il territorio, in Guida al Diritto, n. 14, 21 marzo 2020, 54-55). In forza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020, «Tutta l'Italia diventa cosiddetta 'zona rossa'» (ivi, 55). In ogni caso, rimane fermo che le «prime 'zone rosse' (lombarde e veneta)» sono state «istituite col decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2020, attuativo del coevo decreto-legge n. 6/2020» (A. Natalini, In fuga dal virus: cosa rischia chi viola la «zona rossa», in Guida al Diritto, n. 14, 21 marzo 2020, 69, il quale da' conto delle «misure tipiche attuate inizialmente per la sola 'zona rossa', lombarda e veneta»: ivi, 70). e) Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020 - recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35 - ha stabilito che «le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020» (art. 8, primo comma - dal 4 maggio ha inizio la cosiddetta fase 2). Inoltre, che «Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 (...)» (secondo comma); mentre, «Si continuano ad applicare le misure di contenimento piu' restrittive adottate dalle Regioni, anche d'intesa con il Ministro della salute, relative a specifiche aree del territorio regionale» (terzo comma). In breve, stando alla normativa statale, la Regione Veneto e' stata interessata dalle zone rosse a partire dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 (v. sub b). Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e' rimasto in vigore fino al 13 aprile 2020, per un periodo di tempo superiore ai «trenta giorni consecutivi (di cui parla l'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020). Tuttavia, la Regione Veneto, per parte sua, ha provveduto con ordinanze, rimaste in vigore fino alla chiusura della fase 1, vale a dire fino a domenica 3 maggio 2020: rese possibili da specifiche disposizioni facoltizzanti «misure ulteriormente restrittive» (art. 3, primo comma, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, nonche' art. 8, terzo comma, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020, poc'anzi citato). f) Gia' si e' richiamato il testo dell'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020 (v. sub 3). In ragione del rinvio disposto all'art. 18, sesto comma, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, ai fini dell'individuazione dei «Comuni delle Province» interessate, esse sono quelle di «Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza» (sono indicate nel testo del citato sesto comma e nella rubrica dell'art. 112). Rientrano, inoltre, nel novero dei beneficiari «i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi». In particolare, ai sensi dell'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, sono considerate zone rosse anche le Province di Padova, Treviso e Venezia. Pure ad esse si riferisce l'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020, nel testo pubblicato nel Supplemento ordinario n. 21 della Gazzetta Ufficiale del 19 maggio 2020, 128. Senonche', come accennato (sub. 3), con una determinazione, denominata formalmente Avviso di rettifica, si e' espunto dalla rubrica dell'art. 112 e dal suo testo ogni riferimento ai «Comuni dichiarati zona rossa», con la conseguenza che, beneficiari delle provvidenze saranno soltanto i «Comuni ricadenti nei territori delle Province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza» e non, anche, delle «Province di Padova, Treviso e Venezia», in evidente contrasto con il noto brocardo ceteris paribus. Con un autonomo ricorso, la Regione Veneto ha impugnato l'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020, sul presupposto che l'Avviso di rettifica indicato in epigrafe sia conforme a legge, e ha dedotto la violazione degli articoli 3, 5, 114, 118 e 119 Cost. In questa sede, invece, intende sollevare conflitto di attribuzioni, dal momento che l'atto de quo appare caratterizzato da difetti tali -rispetto a quel che una rettifica rappresenta: «Modifica volta all'eliminazione di errori» (Il Piccolo Rizzoli Larousse, Milano, 2004, ad vocem) - da farlo apparire, ed essere, esorbitante, ove si considerino le attribuzioni spettanti allo Stato ed alle Regioni, che possono agire anche ai sensi dell'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Diritto I) Violazione dell'art. 77 Cost. 1) Se e' vero, sotto molteplici aspetti, che nihil sub sole novi, e' vero, altresi', che e' largamente condivisa l'opinione, secondo cui la pandemia, di fronte alla quale si e' venuto a trovare il Paese, non replica alcunche', perche' rappresenta un fenomeno del tutto singolare. E' certo, poi, che non si e' diffuso ovunque con la medesima intensita', tant'e' vero che contagi e lutti si sono abbattuti in maggior misura su alcune Regioni che su altre, con conseguenze scontate sul piano sanitario, economico e sociale. Il che ha determinato un ineguale sforzo, da parte dei vari sistemi sanitari regionali, ed un comparativamente ineguale ricorso a disponibilita' finanziarie. Da qui una lapalissiana conseguenza: quella di intervenire, attraverso un Fondo specifico, «con una dotazione di 200 milioni di euro per l'anno 2020, in favore dei predetti Comuni»: ivi compresi quelli facenti parte delle Province di Padova, Treviso e Venezia, inclusi nelle zone rosse. Questo era stabilito - come si e' visto - dall'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario n. 21, del 19 maggio 2020, n. 128. Nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2020, n. 129, e' comparso, pero', un «Comunicato relativo al decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34», contenente un Avviso di rettifica, il quale non ha prodotto gli effetti propri di una rettifica, rispetto all'enunciato rettificato, sebbene una evidente alterazione del decisum: vale a dire, della «deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 13 maggio 2020» (come si legge nelle premesse del citato decreto-legge), sei giorni prima. 2) Da tempo, il sistema delle fonti e' stato deturpato da prassi (denominate, normalmente, cosi'), che nulla hanno a che fare con il dettato costituzionale. Recentemente, sono divenuti incerti, addirittura, i luoghi e i tempi, in cui sono state formate ed assunte le deliberazioni. L'espressione «salvo intese» documenta una crisi, che incide sulla sostanza della forma di Governo, di cui si discute quotidianamente, sorpresi ed inorriditi. Il che non sfugge, affatto, all'opinione pubblica, la quale e' messa nelle condizioni di leggere questo resoconto: «Un decreto inafferrabile e mutante come una creatura esoterica. Viene annunciato, ma fino a sera non esisteva. O meglio, e' assemblato un mattoncino alla volta, come il Lego. E sara' diverso -integrato, cucito e ricucito - da quello descritto a grandi linee, molto a grandi linee, dal Presidente del Consiglio sabato a mezzanotte nella piu' bizzarra delle comunicazioni» (S. Folli, Il destino comune che ci manca, in la Repubblica, 23 marzo 2020, 1). Non si tratta che di un esempio - banalissimo -, ma significativo, la' dove si parla di «decreto inafferrabile e mutante», che suscita, a dir poco, imbarazzo, per quanto se ne possano spiegare le ragioni, riconducibili a una incerta, non definita e non rigorosa funzione di indirizzo politico. Le disfunzioni di tal genere si sono gia' ripercosse, in passato, sulle istituzioni. E codesta Ecc.ma Corte ha dovuto intervenire, quando anche l'ultimo dei moniti e' andato deluso: con la notissima sentenza n. 360/1996. Questa e' una vicenda, per molti aspetti, esemplare, perche' ne ha sottolineato la gravita' un'autorevole dottrina, i cui rilievi valgono anche per il tempo presente. Ebbene, a suo tempo, si e' scritto che «sia nel senso quantitativo che nel senso qualitativo, la decretazione legislativa d'urgenza rappresenta ormai - per eccellenza - il punto saliente del distacco riscontrabile fra la realta' delle fonti normative e il modello immaginato o presupposto dai costituenti». Si e' aggiunto, poi, che «Nel corso degli anni (...) si sono formate interpretazioni e applicazioni assai lassiste, sia da parte del Governo, del Parlamento e dello stesso Presidente della Repubblica, sia nella letteratura costituzionalistica». Per non dire, infine, del fatto che «la decretazione legislativa d'urgenza rappresenta un fattore di profonda incertezza del diritto» (L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bologna, 1996, 241, 242 e 251). Pure oggi, abbiamo a che fare con una serie alluvionale di questi atti aventi forza di legge (per non dire dei dpcm), i cui ritmi convulsi di elaborazione ed approvazione non possono discostarsi, a tal punto, dalla legge fondamentale, da apparire, rispetto ad essa, avulsi. Ed e' appena il caso di ricordare che i decreti-legge sono adottati dal Governo «sotto la sua responsabilita'» (art. 77, secondo comma, Cost.): che e' sia di carattere politico, sia di carattere giuridico. Per questo, ne deve essere chiara la matrice, limpido il percorso, indiscutibile la riferibilita' dell'atto a chi ne e' e deve essere - Costituzione alla mano - l'autore, collegiahnente. 3) Non a caso, il legislatore ha dettato una disciplina rigorosa, in tema di «Rettifiche di errori e di omissioni», con l'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, il cui secondo comma precisa che «Gli errori e le omissioni vengono rettificati nei casi e secondo le modalita' previsti dal regolamento di esecuzione del presente testo unico». A sua volta, con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1986, n. 217, e' stato emanato il regolamento. L'art. 14 si occupa degli «Errori di stampa influenti sul contenuto normativo degli atti pubblicati». In questo caso, «Qualora il testo di un atto normativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale presenti difformita', rispetto al relativo originale, tali da determinare l'apparente entrata in vigore di norme da esso non previste oppure la mancata entrata in vigore di norme da esso previste, il Guardasigilli ne ordina la pubblicazione (...)». A sua volta, l'art. 15 dispone circa gli «Errori occorsi nella promulgazione delle leggi o nella emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica». Deve trattarsi di «difformita' nel testo effettivamente approvato dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri» ed e' richiesto che «tale difformita' influisca sul contenuto normativo dell'atto»: se cosi' e', «si provvede alla correzione», la quale e' escluso che possa assumere un rilievo sostanziale, riguardante la statuizione dell'organo competente, che ha deliberato. E' quel che si desume, a lume di buon senso, dai citati disposti, dalle piu' elementari nozioni attinenti la forma di Governo, dall'id quod plerumque accidit. 4) Dell'argomento, si e' occupata, in altra occasione, codesta Ecc.ma Corte, con osservazioni lineari, di cui qui si da' qualche cenno. I piu' felici chiarimenti sono offerti, ad esempio, dalla lettura della sent. n. 152/1994. Il caso era il seguente: Tizio e' imputato dei reati previsti dagli articoli 13 e 14 della legge n. 615/1966 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico) per fatti commessi prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice della strada (di cui al decreto legislativo n. 285/1992). La disposizione oggetto del giudizio e' l'art. 231, cui e' stato riferito un avviso di rettifica, il quale ha inserito l'inciso «limitatamente al Capo VI», all'interno della formula di abrogazione, che, altrimenti, avrebbe coinvolto l'intera legge 13 luglio 1966, n. 615». Per parte sua, «Il giudice a quo, nel ricordare che a seguito del citato avviso di rettifica la legge n. 615 del 1966 risulta abrogata, non piu' in toto, ma (...) nel solo Capo VI (...), rileva (...) che l'inconveniente causato dall'errata formulazione dell'art. 231 avrebbe dovuto essere eliminato attraverso l'adozione di un altro atto dotato di forza di legge, e non gia' attraverso un avviso di rettifica privo di forza di legge, di data, di partenita' e di sottoscrizione. Quest'ultimo atto, sottolinea il giudice a quo, deve essere impiegato solo per correggere veri e propri errori materiali occorsi nella redazione del testo di una legge, e non gia', come sembra sia avvenuto nel caso, quando il testo di legge riveli incongruenze di contenuto» (n. 1 del Ritenuto in fatto). Quel che segue rileva sotto un duplice punto di vista. Da un lato, l'Avvocatura generale dello Stato concorda con la tesi sostenuta dal remittente circa la nozione di avviso di rettifica, dal momento che «(...) con l'avviso di rettifica censurato non si e' apportata alcuna innovazione nell'ordinamento, ne' si e' inteso correggere un'incongruenza legislativa, ma si e' semplicemente voluto rettificare un mero errore materiale connesso all'omissione di determinate parole» (n. 2 del Ritenuto in fatto). Ma v'e' di piu' e di senz'altro decisivo: «A riprova di cio' (...), vale il rilievo che quel che si e' introdotto con tale rettifica era gia' implicito nella norma corretta ed era desumibile dalla stessa attraverso un'interpretazione sistematica. Infatti, considerato che l'art. 231 e' contenuto nel Codice della strada, l'abrogazione della legge n. 615 del 1966 non avrebbe potuto riguardare altro che l'inquinamento connesso alla circolazione dei veicoli a motore» (ivi). D'altro lato, la Corte osserva che, cosi' posta, la questione non riguarda la legittimita' costituzionale del decreto legislativo, poiche' «(...) e' in realta' quest'ultimo avviso l'effettivo oggetto del giudizio promosso dal medesimo giudice rimettente»; avviso (comunicato), «il quale e' frutto di un'operazione rientrante fra le attivita' imputate alla responsabilita' del Presidente del Consiglio dei ministri, attivita' che in nessun caso si conclude con atti qualificabili come aventi valore di legge, anche ai soli fini del radicamento presso questa Corte del giudizio di legittimita' costituzionale» (n. 2 del Considerato in diritto). Aggiunge la Corte, che l'essere, quella erroneamente indicata, «un'abrogazione 'apparente', lo si sarebbe potuto «dedurre in via interpretativa» dai criteri direttivi fissati nella legge di delega 13 giugno 1991, n. 190 (ivi). Il che induce ad affermare - poste simili premesse - che «(...) non si puo' in alcun modo dubitare che l'errore si e' verificato, non nel momento della formazione dell'atto legislativo, ma in quello successivo della sua comunicazione (...)» (ivi). Se cosi' e', la questione sollevata in via incidentale e' inammissibile, perche' non concerne una legge o un atto avente forza di legge, fermo restando -nota conclusivamente la Corte - che «(...) il sindacato della Corte costituzionale puo' essere attivato dai titolari del potere legislativo soltanto nelle evenienze suscettive di configurare ipotesi di conflitto di attribuzione» (ivi). quel che accade nell'odierno giudizio. Ad altro, ma significativo proposito, con la sentenza n. 5/2014 si e' ribadito che la rettifica non puo' avere ad oggetto «incongruenze di contenuto» (sent. n. 152/1994). Infatti, «In proposito e' importante ricordare che, in un comunicato del 22 ottobre 2010 del Ministero della difesa, il Ministro aveva reso noto che l'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 tra le norme da abrogare elencate nell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 2010 era erroneo. Conseguentemente, l'Ufficio legislativo del Ministero della difesa ne aveva 'proposto la correzione con procedura di rettifica di errore materiale da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, ma questa soluzione non era stata condivisa dall'Ufficio legislativo del Dipartimento per la semplificazione normativa, co-proponente del Codice» (sent. n. 5/2014, n. 6.3. del Considerato in diritto). Nella Gazzetta Ufficiale, 3ª Serie speciale - n. 18, del 6 maggio 2017, si legge - in merito all'avviso di rettifica della legge regionale 25 ottobre 2016, n. 19, del Piemonte - che, «A seguito di mero errore materiale (...), e' stato erroneamente riportato il riferimento al comma 2 anziche' al comma 3». Per un principio di prova della fondatezza del conflitto. 5) Se ne desume, a chiare lettere, tra l'altro: che un avviso di rettifica non puo' correggere la formulazione errata di un disposto, quando la medesima riguarda il contenuto di un atto nommtivo; in tal caso, e' indispensabile intervenga una deliberazione ad hoc dell'organo competente: Governo o Parlamento; infatti, con l'avviso di rettifica si possono correggere soltanto errori materiali, che hanno travisato la volonta' del deliberante; ci si trova di fronte a una mera rettifica e non a incongruenze di contenuto, allorche' la stessa e' riconducibile a un enunciato esistente (ricavato o attraverso l'interpretazione sistematica o perche' contenuto in una delega legislativa, ad esempio) e vigente, gia' posto dal legislatore: il che esclude ogni innovazione dell'ordinamento; ove l'impugnativa attenga a un avviso di rettifica - che non e' atto legislativo, ma del Guardasigilli (art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 217/1986) o del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 15) -, essa puo' essere proposta attraverso un conflitto di attribuzioni. 6) A parere della Regione Veneto, l'Avviso di rettifica - di cui al Comunicato apparso nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2020, n. 129 - non possiede i caratteri che sia la relativa disciplina giuridica (art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1985 e articoli 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 217/1986), sia la giurisprudenza costituzionale hanno limpidamente delineato. Infatti, nulla e' dato sapere circa la data, la paternita' e la sottoscrizione del nuovo enunciato (volendo esprimersi con le parole del giudice rimettente, nella causa decisa con la sentenza n. 152/1994). In secondo luogo, se di errore materiale si tratta - ma non e', all'evidenza, cosi', per quel che si dira' tra un istante -, c'e' da osservare che tra la deliberazione del Consiglio dei ministri (del 13 maggio 2020) e la rettifica (del 20 maggio 2020) e' trascorso un tempo non breve, per verificare se i comuni de quibus dovessero essere ammessi oppure no a godere delle risorse stanziate dall'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020. Si trattava e si tratta - come i fatti hanno dimostrato - di una questione politicamente rilevante, ad alta tensione. In terzo luogo, il citato Avviso contiene due ulteriori rettifiche, che non hanno nulla di innovativo: nel senso che all'art. 226, l' comma, si indicano le procedure, cui far ricorso, relativamente al «Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) 2014-2020», che concerne il decisum, la cui omissione puo' essere dipesa da un'imprecisione puramente tecnica; mentre all'art. 249, primo comma, si sostituisce il rinvio all'art. 250 con il rinvio all'art. 247. In quarto luogo, la modifica in questione - di cui qui si discute e di cui si mette in dubbio la legittimita' - e' di ben altra natura, come si ricava dalla piu' piana e lineare lettura del testo dell'Avviso di rettifica. In quinto luogo, il testo originario dell'art. 112 e' coerente con quanto in precedenza stabilito dallo Stato: in particolare, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 (v. sub 4 del fatto). In sesto luogo, l'Avviso di rettifica non e' tale - perche' non corregge un errore materiale -, in quanto la scelta operata e' priva di motivazione, che avrebbe dovuto essere resa esplicita, allo scopo di rendere palesi le ragioni di quello che e' apparso ed e' una sorta di stralcio sanzionatorio. In settimo luogo, non e' azzardato supporre che la rettifica sia avvenuta senza che la stessa sia stata sottoposta, a conferma di quanto stabilito effettivamente dal Consiglio dei ministri, al Presidente del Consiglio (giurista di professione) e al Ministro per le Regioni, entrambi ben consapevoli di quanto per l'innanzi da essi stessi deciso in merito alle zone rosse. In ottavo luogo, se l'estromissione dei comuni ricadenti nelle zone rosse delle Province di Padova, Treviso e Venezia fosse stata deliberata il giorno della seduta del Consiglio dei ministri (il 13 maggio 2020), c'e' da credere che la notizia, nel frattempo (fino al 19 maggio 2020), sarebbe trapelata: ma cosi' non e' stato. Infine, non e' possibile desumere da altro testo normativo vigente (anzi, da quelli vigenti si evince l'esatto contrario) o in forza di un'interpretazione sistematica quel che la rettifica dispone. Appunto, dispone diversamente, sul piano sostanziale, rispetto al testo rettificato. 7) Sulla base delle considerazioni svolte, la Regione Veneto ritiene che l'Avviso di rettifica (relativo al decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale del 20 maggio 2020, n. 129, violi l'art. 77 Cost., dal momento che ha introdotto una modifica dell'enunciato dell'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020 in forma non legislativa. A questo profilo di illegittimita', che riguarda la forma dell'atto, altri se ne collegano, tutti connessi a lesioni sostanziali della legge fondamentale. II. Violazione dell'art. 3 Cost. La vicenda descritta deve essere valutata, in primo luogo, alla luce del paramentro costituzionale fissato dall'art. 3, primo comma. a) La Regione Veneto e' consapevole della circostanza che la censura «non» deve assumere «autonomo rilievo rispetto alle altre», ma deve essere tale da rendere manifesto «un vulnus alla sfera di competenza» sua propria, che - nel caso di specie - riguarda, tra l'altro, l'autonomia amministrativa e finanziaria, di cui agli articoli 118 e 119 Cost. (le citazioni sono riprese dalla sentenza n. 155/2006, n. 4 del Considerato in diritto). Si tratta di una giurisprudenza consolidata, ripetutamente ribadita: infatti, «nei giudizi in via principale le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione dei parametri riguardanti il riparto di competenze tra esse e lo Stato e possono evocarne altri soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni costituzionalmente garantite» (sent. n. 6/2019, n. 3 del Considerato in diritto). Quanto ai conflitti di attribuzione, v., ad esempio, sentenza n. 103/2004. E' richiesto, poi, che «le stesse Regioni motivino sufficientemente in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione» (sent. n. 56/2020, in Guida al Diritto, n. 19, 25 aprile 2020, 104, n. 6.2. del Considerato in diritto). Nel caso in esame, lo Stato ha deciso di erogare provvidenze fmanziarie a favore di Comuni, colpiti in maniera particolarmente virulenta da Covid-19. Sono state messe a dura prova le strutture sanitarie interessate e il personale sanitario, e non solo, coinvolto (medici, infermieri, amministrativi, volontari...). Tutto cio' ha comportato l'erogazione di prestazioni e servizi, che hanno implicato acquisti rilevanti, ad esempio, di beni; la riapertura di strutture chiuse, a motivo della cosiddetta razionalizzazione della rete ospedaliera; l'assunzione di personale, in base alle disposizioni legislative facoltizzanti stabilite dal legislatore statale (v., ad es., l'art. 1 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27). Le comunita' locali hanno subito danni gravissimi sul piano economico e sociale. Alla Regione sono attribuite - oltre che una potesta' legislativa concorrente, ex art. 117, 3° comma, Cost. - una potesta' amministrativa (art. 118 Cost.) ed una finanziaria (art. 119 Cost.). E' fuori discussione che, ove i Comuni, ricompresi nella cosiddetta zona rossa delle Province di Padova, Treviso e Venezia fossero ammessi ad usufruire dei benefici, di cui all'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020, questi diverrebbero risorsa da includere in una posta di bilancio, in entrata e in uscita, alla voce - presumibilmente - «interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l'ernergenza sanitaria Covid-19» (ex art. 112, cit.). Dall'esclusione, consegue l'evidente menomazione di competenze attinenti l'amministrazione e la fmanza, che la Regione Veneto fa valere, anche ai sensi dell'art. 32, secondo comma, della legge n. 87/1953, con specifico riferimento alla sfera di autonomia - oltre che propria - degli enti locali (v., ad es., Corte costituzionale, sentenza n. 298/2009). Tra l'altro, l'assenza di queste disponibilita' da parte dei Comuni, l'obblighera' ad intervenire, sottraendo, in tal modo, risorse, oggetto di proprie autonome determinazioni, destinate a fronteggiare urgenze dell'intera comunita' regionale. b) Con specifico riferimento al caso in esame - vale a dire, alla questione di merito -, l'esclusione operata attraverso l'Avviso di rettifica configura la piu' classica violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., dal momento che l'esclusione dei comuni ricadenti in zona rossa delle Province di Padova, Treviso e Venezia (qualificate come tali dalla normativa statale: v. sub 4 del fatto) risulta, proprio con riferimento alle scelte operate dallo Stato, irragionevole. Tutto cio', ove si considerino - in linea generale - la portata e le implicazioni del tertium comparationis, che consente di far emergere, appunto, «la ragionevolezza delle classificazioni legislative: ragionevolezza che non si risolve (...) nell'intrinseca bonta' delle scelte effettuate dal Parlamento, ma riguarda piuttosto la coerenza delle differenziazioni (o delle assimilazioni) in esame, valutata nel rapporto con il trattamento che le leggi riservino ad altre categorie o ad altre fattispecie, comparabili con quella contestata» (L. Paladin, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1998, 168). Cio' che qui si lamenta e' l'effetto generato dall'esclusione (o, se si preferisce, dalla mancata inclusione) di enti, che versano nelle medesime condizioni degli enti inclusi tra i destinatari delle risorse assegnate al fondo contemplato dall'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020: il trattamento avrebbe dovuto essere identico, come, del resto, era previsto dall'enunciato normativo rettificato (inutile diffondersi in richiami di una giurisprudenza costituzionale vastissima: v., ad es., sentenza n. 68 e n. 236/2012, nonche', per la puntualita' delle riprese, A. Ruggeri - A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, 2019, 140 ss.). III. Violazione degli articoli 5, 97, 114, 118 e 119 Cost. Si e' sostenuto, con indiscutibile autorevolezza in sede dottrinale (ci si riferisce, in particolare, a G. Berti, art. 5, in AA.VV., Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Zanichelli-I1 Foro Italiano, Bologna-Roma, 1975, 277 ss.), che da una aggiornata lettura della Costituzione si ricava l'«annuncio (...) di un ordine dove l'unita' statale non ha piu' valore come unita' giuridico anuninistrativa ma acquista valore nell'unita' di una societa' che, obbedendo a comuni regole di condotta e di linguaggio, si amministra mediante strutture adatte ai vari livelli e ai vari gruppi sociali». Da cio' un corollario: tra i vari enti, le relative comunita' e gli apparati serventi esiste un continuum, destinato ad inverarsi in presenza di situazioni comuni, che comportano l'applicazione del principio di solidarieta', oltre che dell'eguaglianza (ex articoli 2 e 3 Cost.). a) Il mancato rispetto oppure la declinazione scorretta di queste regole essenziali implica che si finisca per ledere, anzitutto, quel che stabilisce l'art. 5 Cost., la' dove il medesimo impone di coordinare fra loro il principio autonomistico (e pluralistico) e il principio unitario. Nel caso in esame, il vulnus e' indiscutibile, dal momento che l'esclusione dal Fondo - a parita' di condizioni - produce il singolare effetto di beneficare due volte le comunita' territoriali ammesse: per la parte spettante e per quella, non spettante, acquisita a carico dei beneficiari illegittimamente esclusi; di discriminare le relative popolazioni; di obbligare la Regione ad attivarsi per, quantomeno, ridurre lo svantaggio derivante da quel che e' illegittimamente stabilito dall'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020. Il che comporta - a parere della Regione Veneto - una lesione - proprio da parte dello Stato, garante dell'unita' della Repubblica - del relativo principio, perche' riserva trattamenti differenziati a centri di autonomia, che versano nelle medesime condizioni. E l'impoverimento economico-finanziario, determinato da una irragionevole sottrazione di risorse, comporta, paradossalmente, che venga disattesa l'uniformita' di regime giuridico, quando essa e' essenziale. E' un rilievo, che pare scontato a lume di buon senso; fondato, peraltro, su una articolatissima giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, che ha sistematicamente ricavato, dalle singole fattispecie concrete, una lettura dinamica e aggiornata dell'art. 5 Cost. [v., ad es., F. Benelli, Art. 5, in AA.VV., Commentarlo breve alla Costituzione, a cura di S. Bartole e R. Bin, Cedam, Padova, 2008, spec. 51, nonche' Corte costituzionale, sentenza n. 171/2018, ove si valorizza, se in presenza di fattispecie diseguali, l'apporto collaborativo delle Regioni. Infatti, ferme restando le «linee di indirizzo e coordinamento tracciate a livello centrale (...). Quanto affermato, nondimeno, non esclude che, al fine di assicurare la partecipazione dei diversi livelli di Governo coinvolti, l'esercizio delle funzioni amministrative sia improntato al rispetto del principio di leale collaborazione (sentenza n. 58 del 2007). Le esigenze di una disciplina unitaria, d'altronde, in un ordinamento a struttura regionalista fondato sui principi di cui all'art. 5 Cost., non possono ignorare la tutela delle autonomie territoriali, attraverso strumenti idonei a fornire risposte pragmatiche e sufficientemente flessibili, specie nei casi nei quali lo Stato, pur nell'esercizio di sue competenze esclusive, interferisce con materie attribuite alle Regioni (sentenza n. 61 del 2018)»: n. 7.3.2. del Considerato in diritto, quale sorta di prova a contrario]. b) E' leso, quindi, l'art. 97 Cost., che ha ad oggetto il buon Governo e la buona amministrazione, cui attende la legge n. 241/1990, ove seriamente intesa. Riguarda, inoltre, l'imparzialita', platealmente disattesa dall'Avviso di rettifica, che disciplina qualunque funzione amministrativa. c) A questi fondamentali disposti si ricollega l'intero Titolo V della Parte II della Costituzione. In primo luogo, l'art. 114, il quale ha ad oggetto la Repubblica e le sue articolazioni essenziali. Ove le si discrimini irragionevolmente, viene meno il necessario coordinamento imparziale delle competenze, le quali saranno esercitate dagli enti territoriali interessati (nel caso concreto, dal continuum rappresentato dai comuni ricadenti nelle zone rosse delle Province di Padova, Treviso e Venezia, da un lato, e dalla Regione Veneto, dall'altro) in condizioni comparativamente degradate; tuttavia, ingiustificate, essendo noto che - come ha stabilito il Giudice delle leggi - l'art. 114 Cost. non comporta, affatto, una totale equiparazione fra enti. Equiparazione indispensabile, quando identiche sono le condizioni di fatto e allorche' il discorso cade su enti della medesima specie: nel caso, su Comuni. d) Sotto quest'ultimo aspetto, ne soffre, pure, l'art. 118 Cost., in quanto non sono rispettati i «principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza». L'interferenza nell'esercizio delle funzioni amministrative locali incide sul fatto che «Il comune deve percio' essere considerato prioritariamente rispetto ad ogni altro ente, nel momento in cui si tratta di decidere dell'allocazione delle funzioni amministrative, comportando ogni diversa soluzione un particolare onere di motivazione in capo al legislatore (...)» (L. Coen, art. 118, in AA.VV., Commentario breve alla Costituzione, cit., 1066, con richiami di dottrina e giurisprudenza, che paiono tuttora esemplari). Innegabile, nel caso concreto, la menomazione di questa potesta', che ha ad oggetto - come si e' visto - «interventi di sostegno di carattere economico e sociale» spettanti - ai sensi dell'art. 112 cit. - ai Comuni. e) Infine, e' violato I'art. 119 Cost. Infatti, in gioco ci sono dotazioni finanziarie, che non transiteranno nei bilanci dei Comuni, inclusi nelle zone rosse delle Province di Padova, Treviso e Venezia. Se cosi' e', non e' affatto vero, per una certa misura - corrispondente al mancato beneficio -, che «I comuni (...) hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa». Inutile dire, poi, come si e' rilevato (v. sub 1), che questa sopravvenuta carenza dovra' verosimilmente essere, almeno in parte, rimediata dalla Regione Veneto, la quale subira' una illegittima compressione dell'autonomia fmanziaria propria. A motivo di una perversa attuazione - pare di poter dire - del principio dei vasi comunicanti.