Ricorso (ex art. 39 della legge  11  marzo  1953,  n.  87)  della
Regione del Veneto (c.f.  80007580279),  in  persona  del  Presidente
della Giunta  regionale  pro  tempore,  Luca  Zaia,  rappresentata  e
difesa, ai sensi della delibera della Giunta regionale del  9  luglio
2020, giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti  prof.
Mario Bertolissi (c.f. BRTMRA48T28L483I) del foro di  Padova;  Franco
Botteon (c.f. BTTFNC61L01M089S)  dell'Avvocatura  regionale;  nonche'
dall'avv. Andrea Manzi (c.f.  MNZNDR64T26I804V)  del  foro  di  Roma,
presso il quale e' domiciliata in Roma, via  F.  Confalonieri,  n.  5
(fax: 06.3211370; pec abilitata: andreamanzi@ordineavvocatiroma.org),
contro  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente del Consiglio dei ministri  pro  tempore,  domiciliato  ex
lege presso l'Avvocatura generale dello Stato, in via dei Portoghesi,
n. 12 - 00186 Roma. 
    Per conflitto di attribuzioni riguardante l'avviso  di  rettifica
relativo al decreto-legge 19 maggio  2020,  n.  34,  recante  «Misure
urgenti in materia  di  salute  sostegno  a  lavoro  e  all'economia,
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epimedeologica da
COVID 19» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale -  del
20 maggio 2020, n. 129, nella parte che attiene all'art. 112. 
    Per violazione dell'art. 77 Cost. e degli articoli 3, 5, 97, 114,
118, e 119 Cost. 
 
                                Fatto 
 
    1. - Come e' noto, alcune Regioni,  piu'  di  altre,  sono  state
interessate  dalla  pandemia  da   coronavirus:   denominata,   pure,
-emergenza epidemiologica Covid-19.  Incerti  il  tempo  e  il  luogo
d'ingresso, ed anche i caratteri del virus, mentre ricerche  in  atto
tendono a far risalire a fine 2019 la prima diffusione del malanno in
Italia, quel che e' certo e'  che  «l'Organizzazione  mondiale  della
sanita' il 30 gennaio  2020  ha  dichiarato  l'epidemia  da  Covid-19
un'emergenza di sanita' pubblica di rilevanza internazionale», mentre
con «delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (...) e'
stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul  territorio
nazionale relativo al rischio sanitario  connesso  all'insorgenza  di
patologie derivanti da agenti  virali  trasmissibili»  (cosi',  nelle
premesse del decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  1°
marzo  2020,  assunto  ex  decreto-legge  23  febbraio  2020,  n.  6,
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo  2020,  n.  13,  a
proposito del quale, e non solo, v., ad es.,  G.M.  Salerno,  Diritto
«emergenziale»: un opportuno riordino per ristabilire i principi,  in
Guida al Diritto, n. 17/2020, 25 ss.; M. Clarich - G.  Fonderico,  Il
legislatore cerca di riportare al "centro"  i  poteri  di  ordinanza,
ivi, 29 ss., nonche' M. Luciani, Il sistema delle fonti  del  diritto
alla prova  dell'emergenza,  in  Rivista  A.I.C.,  n.  2/2020,  e  A.
Celotto, Necessitas non habet legem? Prime riflessioni sulla gestione
costituzionale dell'emergenza coronavirus,  Mucchi  Editore,  Modena,
2020). 
    Viste le incertezze incombenti e,  quindi,  «in  conseguenza  del
perdurare  delle  straordinarie  esigenze  connesse  allo  stato   di
emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in  data  31  gennaio
2020, per l'anno 2020» (primo comma), «I termini  di  scadenza  degli
stati di emergenza (...), in scadenza entro il 31 luglio 2020  e  non
piu' prorogabili ai sensi della vigente normativa, sono prorogati per
ulteriori  sei  mesi»  (quarto   comma):   cosi',   l'art.   14   del
decreto-legge 19 marzo 2020, n. 34, cosiddetto Rilancio. 
    2.  -  Il  carattere  particolarmente   aggressivo   del   virus,
largamente diffusosi  in  alcuni  territori  del  Nord  d'Italia,  ha
costretto il Governo e le  Regioni  interessate  ad  adottare  misure
particolarmente  restrittive  di  talune   essenziali   liberta':   a
cominciare da quella di circolazione e soggiorno, di cui all'art.  16
Cost. Non a caso, si e' parlato, in proposito, di  blocco  totale  di
ogni attivita', con conseguenze  metaforicamente  riconducibili  agli
arresti domiciliari di massa, imposti dalla gravita' degli eventi. E'
evidente che una simile situazione ha avuto pesantissime ricadute sul
piano economico e sociale, tant'e' vero che ha indotto il  Governo  a
intervenire con provvidenze ad hoc. 
    3. - Di esse si  occupa,  tra  l'altro,  l'art.  112  del  citato
decreto-legge n. 34/2020, la cui rubrica e'  Fondo  comuni  ricadenti
nei territori delle Province di Bergamo,  Brescia,  Cremona,  Lodi  e
Piacenza e comuni dichiarati zona rossa. Il  testo  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale del 19 maggio 2020, n. 128, e' il seguente: «1. In
considerazione della particolare gravita' dell'emergenza sanitaria da
Covid-19 che ha interessato i comuni delle Province di cui al comma 6
dell'art. 18 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, nonche' i comuni
dichiarati  zona  rossa,  sulla  base  di  provvedimenti  statali   o
regionali,  entro  il  3  maggio  2020  per  almeno   trenta   giorni
consecutivi, e' istituito presso il Ministero dell'interno  un  fondo
con una dotazione di 200 milioni di euro per l'anno 2020,  in  favore
dei predetti Comuni.  Con  decreto  del  Ministero  dell'interno,  da
adottarsi entro dieci giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, e' disposto il riparto del  contributo  di  cui  al
primo periodo  sulla  base  della  popolazione  residente.  I  comuni
beneficiari devono destinare le risorse di cui al periodo  precedente
ad interventi di sostegno di carattere economico e  sociale  connessi
con  l'emergenza  sanitaria  da  Covid-19.  All'onere  derivante  dal
presente articolo, pari a 200 milioni di euro  per  l'anno  2020,  si
provvede ai sensi dell'art. 265». 
    Ma nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo, il 20  maggio,
n.  129,  compare  un  avviso  di  rettifica  cosi'  concepito:  «Nel
decreto-legge citato  in  epigrafe,  pubblicato  nel  sopra  indicato
supplemento ordinario: - alla pagina 111, all'art. 112: nella rubrica
le parole: «e comuni dichiarati zona rossa» sono soppresse; al  comma
1, primo periodo, le parole: «nonche' i comuni dichiarati zona rossa,
sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro  il  3  maggio
2020 per almeno trenta giorni consecutivi,...» sono soppresse». 
    Che cosa e' accaduto? Come si precisera' tra breve, la  rimozione
- conseguente alla citata soppressione di incisi - dei  comuni  delle
Province di Padova, Treviso e Venezia  dal  novero  degli  enti,  che
hanno subito le note mutilazioni  inferte  ai  territori  qualificati
come zone rosse (oggi, se ne parla anche per  eventuali  risvolti  di
carattere penale: v., ad es.,  P.  Russo,  Industrie  aperte  in  Val
Seriana: nuova inchiesta, in il mattino di Padova, 15 giugno 2020, 5,
e F. Ratto Trabucco, Fra omissioni, contraddizioni e riduzionismo: le
responsabilita' degli organi deputati alla sanita' pubblica  italiana
nella   prevenzione   della   pandemia   Covid-19,   in   corso    di
pubblicazione),  ha  comportato  una  sicura  lesione  di  molteplici
parametri costituzionali: in particolare, degli articoli 3,  5,  114,
118 e 119, per una evidenza a dir poco solare, che trova il suo  piu'
generale fondamento nell'antico precetto, secondo cui Ubi eadem legis
ratio, ibi eadem legis dispositio. Come, del resto, il Consiglio  dei
ministri aveva deciso - salvo la dubbia rettifica -, essendo evidente
che il suo Presidente ne conosce il significato: che e' di «Principio
giuridico rilevante in tema di interpretazione della legge, in virtu'
del quale si ritiene che casi simili debbano essere regolati da norme
di  legge  ispirate  dalla  stessa  ratio   legis:   si   tratta   di
un'applicazione specifica del principio della parita' di trattamento,
per il quale a casi simili devono corrispondere norme simili» (F. del
Giudice, Dizionario giuridico romano, Esselibri, Napoli, 2010, 515). 
    4. - Del resto, per convincersi della bonta' di questo rilievo  -
che e', al tempo stesso, conclusione  e  premessa  -  e'  sufficiente
prendere  in  esame  il  dettato  normativa,  frutto   dell'emergenza
sanitaria. Si tratta di fatti a tutti noti, non contestabili: 
        a) Come ognuno ricordera', dopo molte incertezze - dipese dal
diffondersi di notizie contrastanti, nebulose nei loro significati  e
insuscettibili di costituire la base di provvedimenti consapevoli  -,
il Governo ha approvato il decreto-legge  23  febbraio  2020,  n.  6,
convertito, con modificazioni,  dalla  legge  5  marzo  2020,  n.  13
(abrogato, in parte, dall'art. 5 del decreto-legge 25 marzo 2020,  n.
19). E' l'atto avente forza di legge-base, che ha suscitato non poche
perplessita' sul piano costituzionale,  data  l'indeterminatezza,  in
particolare, dell'enunciato dell'art. 1, primo comma, il  cui  inciso
finale e' il  seguente:  «le  autorita'  competenti  sono  tenute  ad
adottare  ogni  misura  di  contenimento  e   gestione   adeguata   e
proporzionata  all'evolversi  della  situazione  epidemiologica».  Il
secondo comma elenca talune misure tipiche, mentre l'art. 2  consente
l'adozione di ulteriori  misure  atipiche.  A  sua  volta,  l'art.  3
afferma che «Le misure (...) sono  adottate  (...)  con  uno  o  piu'
decreti del Presidente del Consiglio dei ministri,  su  proposta  del
Ministro della salute, sentito il Ministro dell'interno, il  Ministro
della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e  gli  altri
Ministri competenti per materia, nonche' i Presidenti  delle  Regioni
competenti, nel  caso  in  cui  riguardino  esclusivamente  una  sola
Regione o alcune  specifiche  Regioni,  ovvero  il  Presidente  della
Conferenza dei presidenti delle Regioni, nel caso in  cui  riguardino
il territorio nazionale» (in proposito, ad es., G.M. Salerno). 
    Un federalismo  malato  incapace  di  assicurare  la  tenuta  dei
principi, in Guida al Diritto, n.  14/2020,  8  ss.,  e  A.  Celotto,
Necessitas non habet legem?, cit., 9 ss. e 43 ss.). 
        b)    «Preso    atto    dell'evolversi    della    situazione
epidemiologica, del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia
e dell'incremento dei casi anche sul territorio nazionale; Preso atto
che sul territorio nazionale e, segnatamente, nella Regione Lombardia
e nella Regione Veneto, vi sono diversi comuni nei quali ricorrono  i
presupposti di cui all'art. 1, comma 1, del richiamato decreto-legge»
n. 6/2020 (v. sub a), il Presidente del Consiglio dei ministri decide
di intervenire con  il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 23 febbraio 2020 (in pari data), il cui art. 1  reca  questa
significativa rubrica: «Misure urgenti di contenimento  del  contagio
nei comuni delle Regioni Lombardia e Veneto». 
    Due sono le Regioni interessate, all'origine: Lombardia e Veneto.
I comuni indicati nell'allegato 1 ricomprendono, quanto al Veneto, il
Comune di Vo', ed e' ad essi  che  si  applicano  le  piu'  drastiche
limitazioni, come si ricava dalla lettura  di  questi  disposti:  «a)
divieto di allontanamento dai comuni di cui all'allegato 1, da  parte
di tutti gli individui comunque presenti negli stessi; b) divieto  di
accesso nei comuni di cui all'allegato  1»  (art.  1,  primo  comma).
Seguono ulteriori limitazioni, destinate ad essere estese  all'intero
territorio nazionale. 
        c)  «Visto  che  si  sono  verificati  finora  25  casi   nel
territorio della Regione del Veneto nei Comuni di Vo' (PD) e di  Mira
(VE) (...). Preso atto dell'evolversi della situazione epidemiologica
globale (...). Vista la deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,
adottata nella riunione del 22 febbraio 2020, e ai sensi dell'art. 32
della legge n. 833/1978 (...)», e' assunta  l'ordinanza  23  febbraio
2020, sottoscritta dal Ministro della salute e dal  Presidente  della
Regione del Veneto. L'oggetto  e':  «Misure  urgenti  in  materia  di
contenimento e gestione dell'emergenza  epidemiologica  da  Covid-19.
Regione Veneto». 
        d) Le limitazioni piu' restrittive - sono stati denominati  i
relativi ambiti territoriali dalla vulgata zone rosse  -  sono  state
confermate dal decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri  1º
marzo 2020,  che  ha  ampliato  il  numero  degli  enti  territoriali
interessati (allegati 1, 2 e 3). Atto normativo, che ha anticipato il
ben piu'  importante  e  significativo  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, di ulteriore  ampliamento  della
zona de qua (Allargata la «zona  rossa»  e  inasprite  le  azioni  di
contenimento dell'infezione, in Guida  al  Diritto,  n.  14/2020,  46
ss.). 
    Ai  fini  del  presente  giudizio,  pare  sufficiente  richiamare
qualche  essenziale  disposto,  il  quale  consente,  fin  d'ora,  di
chiarire quali sono stati gli enti territoriali colpiti da  singolari
limiti restrittivi e di che trattasi. 
    Ebbene, «Ritenuto necessario procedere a una rimodulazione  delle
aree nonche' individuare ulteriori misure a carattere nazionale»,  il
Presidente del Consiglio  dei  ministri  decreta  -  per  il  tramite
dell'art. 1, primo comma -  che  «Allo  scopo  di  contrastare  e  di
contenere il diffondersi del virus Covid-19 nella Regione Lombardia e
nelle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Ernia, Rimini,
Pesaro e Urbino,  Alessandria,  Asti,  Novara,  Verbano-Cusio-Ossola,
Vercelli, Padova,  Treviso  e  Venezia,  sono  adottate  le  seguenti
misure», tra le quali si segnalano - ma l'elenco e'  lungo  -  quelle
destinate: a «a) evitare ogni spostamento delle  persone  fisiche  in
entrata e in uscita  dai  territori  di  cui  al  presente  articolo,
nonche'  all'interno  dei  medesimi  territori,  salvo  che  per  gli
spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative  o  situazioni
di necessita' ovvero spostamenti per motivi di salute, e'  consentito
il rientro presso il proprio domicilio, abitazione  o  residenza»;  a
porre un «c) divieto assoluto di mobilita' dalla propria abitazione o
dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena  ovvero
risultati positivi al virus» (a  puro  titolo  esemplificativo  delle
limitazioni  di  talune   essenziali   liberta',   costituzionalmente
previste e tutelate, v., ad es., T. Padovani, Lotta  al  Coronavirus:
le norme penali in «collisione» con  la  Costituzione,  in  Guida  al
Diritto, n. 23, 23 maggio 2020, 8 ss., ed E. Fragasso jr, Il processo
penale a distanza, la Costituzione ed  i  provvedimenti  emergenziali
contro la  Covid-19,  in  dis  Crimen,  22  giugno  2020,  con  ampie
riflessioni sul sistema delle fonti). 
    Si e' notato, in proposito, che «Il decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri  8  marzo  2020,  individua  zone  geografiche
diverse  e  misure  ad  hoc  in  base   al   livello   di   'rischio'
corrispondente. Sono previste: misure di  contenimento  del  contagio
nella 'zona rossa'; misure per il contrasto  e  il  contenimento  nel
territorio  nazionale;   misure   di   informazione   e   prevenzione
sull'intero territorio  nazionale;  un  piano  di  monitoraggio»  (G.
Buffone, Chiusi musei e locali per evitare interazioni  in  tutto  il
territorio, in Guida al Diritto, n. 14, 21  marzo  2020,  54-55).  In
forza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  9  marzo
2020, «Tutta l'Italia diventa cosiddetta 'zona rossa'» (ivi, 55).  In
ogni caso, rimane fermo  che  le  «prime  'zone  rosse'  (lombarde  e
veneta)»  sono  state  «istituite  col  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri del 23  febbraio  2020,  attuativo  del  coevo
decreto-legge n. 6/2020»  (A.  Natalini,  In  fuga  dal  virus:  cosa
rischia chi viola la «zona rossa», in Guida al  Diritto,  n.  14,  21
marzo 2020, 69, il quale da'  conto  delle  «misure  tipiche  attuate
inizialmente per la sola 'zona rossa', lombarda e veneta»: ivi, 70). 
        e) Il decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  10
aprile  2020  -  recante  «Ulteriori   disposizioni   attuative   del
decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 22 maggio 2020, n. 35 - ha stabilito che «le disposizioni
del presente decreto producono effetto dalla data del 14 aprile  2020
e sono efficaci fino al 3 maggio 2020» (art. 8, primo comma -  dal  4
maggio ha inizio la cosiddetta fase 2). Inoltre, che «Dalla  data  di
efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre
effetti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8  marzo
2020 (...)» (secondo comma); mentre, «Si continuano ad  applicare  le
misure di contenimento piu' restrittive adottate dalle Regioni, anche
d'intesa con il Ministro della salute, relative a specifiche aree del
territorio regionale» (terzo comma). 
    In breve, stando alla normativa statale,  la  Regione  Veneto  e'
stata  interessata  dalle  zone  rosse  a  partire  dal  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 (v. sub b). Il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  8  marzo  2020  e'
rimasto in vigore fino al 13 aprile 2020, per  un  periodo  di  tempo
superiore ai «trenta giorni consecutivi (di cui parla l'art. 112  del
decreto-legge n. 34/2020). Tuttavia, la  Regione  Veneto,  per  parte
sua, ha  provveduto  con  ordinanze,  rimaste  in  vigore  fino  alla
chiusura della fase 1, vale a dire fino a  domenica  3  maggio  2020:
rese  possibili  da  specifiche  disposizioni  facoltizzanti  «misure
ulteriormente restrittive» (art. 3, primo comma, del decreto-legge 25
marzo  2020,  n.  19,  nonche'  art.  8, terzo  comma,  decreto   del
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  10  aprile  2020,  poc'anzi
citato). 
        f)  Gia'  si  e'  richiamato  il  testo  dell'art.  112   del
decreto-legge n. 34/2020 (v. sub 3). In ragione del  rinvio  disposto
all'art. 18, sesto comma, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23,  ai
fini dell'individuazione dei  «Comuni  delle  Province»  interessate,
esse sono quelle di «Bergamo,  Brescia,  Cremona,  Lodi  e  Piacenza»
(sono indicate nel  testo  del  citato sesto comma  e  nella  rubrica
dell'art. 112). Rientrano, inoltre, nel  novero  dei  beneficiari  «i
comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti  statali  o
regionali,  entro  il  3  maggio  2020  per  almeno   trenta   giorni
consecutivi». 
    In particolare, ai sensi dell'art. 1 del decreto  del  Presidente
del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, sono considerate zone  rosse
anche le Province di Padova, Treviso  e  Venezia.  Pure  ad  esse  si
riferisce  l'art.  112  del  decreto-legge  n.  34/2020,  nel   testo
pubblicato nel Supplemento ordinario n. 21 della  Gazzetta  Ufficiale
del 19 maggio 2020, 128. Senonche', come accennato (sub. 3), con  una
determinazione, denominata formalmente Avviso  di  rettifica,  si  e'
espunto dalla rubrica dell'art. 112 e dal suo testo ogni  riferimento
ai  «Comuni  dichiarati  zona  rossa»,  con   la   conseguenza   che,
beneficiari delle provvidenze saranno soltanto  i  «Comuni  ricadenti
nei territori delle Province di Bergamo,  Brescia,  Cremona,  Lodi  e
Piacenza»  e  non,  anche,  delle  «Province  di  Padova,  Treviso  e
Venezia», in evidente contrasto con il noto brocardo ceteris paribus. 
    Con un autonomo ricorso, la Regione Veneto  ha  impugnato  l'art.
112 del decreto-legge n. 34/2020, sul  presupposto  che  l'Avviso  di
rettifica indicato in epigrafe sia conforme a legge, e ha dedotto  la
violazione degli articoli 3, 5, 114, 118 e 119 Cost. In questa  sede,
invece, intende sollevare conflitto di attribuzioni, dal momento  che
l'atto de quo appare caratterizzato da difetti tali -rispetto a  quel
che una rettifica rappresenta: «Modifica  volta  all'eliminazione  di
errori» (Il Piccolo Rizzoli Larousse, Milano, 2004,  ad  vocem) -  da
farlo  apparire,  ed  essere,  esorbitante,  ove  si  considerino  le
attribuzioni spettanti allo Stato ed alle Regioni, che possono  agire
anche ai sensi dell'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
 
                               Diritto 
 
I) Violazione dell'art. 77 Cost. 
    1) Se e' vero, sotto molteplici aspetti, che nihil sub sole novi,
e' vero, altresi', che e' largamente  condivisa  l'opinione,  secondo
cui la pandemia, di fronte alla quale  si  e'  venuto  a  trovare  il
Paese, non replica alcunche', perche'  rappresenta  un  fenomeno  del
tutto singolare. E' certo, poi, che non si e' diffuso ovunque con  la
medesima intensita',  tant'e'  vero  che  contagi  e  lutti  si  sono
abbattuti in maggior misura su  alcune  Regioni  che  su  altre,  con
conseguenze scontate sul piano sanitario, economico e sociale. Il che
ha determinato un ineguale sforzo, da parte dei vari sistemi sanitari
regionali, ed un comparativamente ineguale ricorso  a  disponibilita'
finanziarie.  Da  qui  una  lapalissiana   conseguenza:   quella   di
intervenire, attraverso un Fondo specifico, «con una dotazione di 200
milioni di euro per l'anno 2020, in favore dei predetti Comuni»:  ivi
compresi quelli facenti parte delle Province  di  Padova,  Treviso  e
Venezia, inclusi nelle zone rosse. Questo era stabilito - come si  e'
visto - dall'art. 112 del decreto-legge n. 34/2020, pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario n. 21, del 19 maggio  2020,
n. 128. 
    Nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2020, n. 129, e' comparso,
pero', un «Comunicato relativo al decreto-legge 19  maggio  2020,  n.
34», contenente un Avviso di rettifica, il quale non ha prodotto  gli
effetti propri di una rettifica, rispetto all'enunciato  rettificato,
sebbene una evidente alterazione del  decisum:  vale  a  dire,  della
«deliberazione del Consiglio dei ministri,  adottata  nella  riunione
del 13  maggio  2020»  (come  si  legge  nelle  premesse  del  citato
decreto-legge), sei giorni prima. 
    2) Da tempo, il sistema delle fonti e' stato deturpato da  prassi
(denominate, normalmente, cosi'), che nulla hanno a che fare  con  il
dettato  costituzionale.   Recentemente,   sono   divenuti   incerti,
addirittura, i luoghi e i tempi, in cui sono state formate ed assunte
le deliberazioni. L'espressione «salvo intese» documenta  una  crisi,
che incide sulla sostanza della forma di Governo, di cui  si  discute
quotidianamente, sorpresi ed inorriditi. 
    Il che non sfugge, affatto, all'opinione pubblica,  la  quale  e'
messa nelle condizioni  di  leggere  questo  resoconto:  «Un  decreto
inafferrabile  e  mutante  come   una   creatura   esoterica.   Viene
annunciato, ma fino a sera non esisteva. O meglio, e'  assemblato  un
mattoncino alla volta, come il  Lego.  E  sara'  diverso  -integrato,
cucito e ricucito - da quello  descritto  a  grandi  linee,  molto  a
grandi linee, dal Presidente del Consiglio sabato a mezzanotte  nella
piu' bizzarra delle comunicazioni» (S. Folli, Il destino  comune  che
ci manca, in la Repubblica, 23 marzo 2020, 1). 
    Non  si  tratta  che  di   un   esempio -   banalissimo   -,   ma
significativo,  la'  dove  si  parla  di  «decreto  inafferrabile   e
mutante», che suscita, a  dir  poco,  imbarazzo,  per  quanto  se  ne
possano  spiegare  le  ragioni,  riconducibili  a  una  incerta,  non
definita  e  non  rigorosa  funzione  di   indirizzo   politico.   Le
disfunzioni di tal genere si sono gia' ripercosse, in passato,  sulle
istituzioni. E codesta Ecc.ma Corte  ha  dovuto  intervenire,  quando
anche l'ultimo dei moniti e' andato deluso: con la notissima sentenza
n. 360/1996. Questa e' una vicenda,  per  molti  aspetti,  esemplare,
perche' ne ha sottolineato la gravita' un'autorevole dottrina, i  cui
rilievi valgono anche per il tempo presente. 
    Ebbene,  a  suo  tempo,  si  e'  scritto  che  «sia   nel   senso
quantitativo che nel senso qualitativo, la  decretazione  legislativa
d'urgenza rappresenta ormai - per eccellenza - il punto saliente  del
distacco riscontrabile fra la realta'  delle  fonti  normative  e  il
modello immaginato o presupposto dai costituenti».  Si  e'  aggiunto,
poi, che «Nel corso degli anni (...) si sono formate  interpretazioni
e  applicazioni  assai  lassiste,  sia  da  parte  del  Governo,  del
Parlamento e dello stesso  Presidente  della  Repubblica,  sia  nella
letteratura costituzionalistica». Per non dire, infine, del fatto che
«la decretazione legislativa  d'urgenza  rappresenta  un  fattore  di
profonda incertezza del diritto» (L. Paladin, Le  fonti  del  diritto
italiano, il Mulino, Bologna, 1996, 241, 242 e 251). 
    Pure oggi, abbiamo a che fare con una serie alluvionale di questi
atti aventi forza di legge (per non  dire  dei  dpcm),  i  cui  ritmi
convulsi di elaborazione ed approvazione non possono  discostarsi,  a
tal punto, dalla legge fondamentale, da apparire, rispetto  ad  essa,
avulsi. Ed e' appena il caso di ricordare che  i  decreti-legge  sono
adottati dal Governo «sotto la sua responsabilita'» (art. 77, secondo
comma, Cost.): che e' sia di carattere  politico,  sia  di  carattere
giuridico. Per questo, ne deve essere chiara la matrice,  limpido  il
percorso, indiscutibile la riferibilita' dell'atto a chi ne e' e deve
essere - Costituzione alla mano - l'autore, collegiahnente. 
    3) Non a caso, il legislatore ha dettato una disciplina rigorosa,
in tema di «Rettifiche di errori e di omissioni», con  l'art.  8  del
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, il
cui secondo comma precisa che «Gli  errori  e  le  omissioni  vengono
rettificati nei casi e secondo le modalita' previsti dal  regolamento
di esecuzione del presente testo unico». 
    A sua volta, con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo
1986, n. 217, e' stato emanato il regolamento. L'art.  14  si  occupa
degli «Errori di stampa influenti sul contenuto normativo degli  atti
pubblicati». In questo caso, «Qualora il testo di un  atto  normativo
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale presenti difformita', rispetto al
relativo originale, tali da determinare l'apparente entrata in vigore
di norme da esso non previste oppure la mancata entrata in vigore  di
norme da esso previste, il Guardasigilli ne ordina  la  pubblicazione
(...)». A sua volta, l'art. 15  dispone  circa  gli  «Errori  occorsi
nella promulgazione delle leggi o nella emanazione  dei  decreti  del
Presidente della Repubblica».  Deve  trattarsi  di  «difformita'  nel
testo effettivamente approvato dal Parlamento  o  dal  Consiglio  dei
ministri»  ed  e'  richiesto  che  «tale  difformita'  influisca  sul
contenuto normativo  dell'atto»:  se  cosi'  e',  «si  provvede  alla
correzione», la quale  e'  escluso  che  possa  assumere  un  rilievo
sostanziale, riguardante la statuizione dell'organo  competente,  che
ha deliberato. 
    E' quel che si desume, a lume di buon senso, dai citati disposti,
dalle piu' elementari nozioni attinenti la forma di Governo,  dall'id
quod plerumque accidit. 
    4) Dell'argomento, si e' occupata, in  altra  occasione,  codesta
Ecc.ma Corte, con osservazioni lineari, di cui  qui  si  da'  qualche
cenno. 
    I piu' felici chiarimenti sono offerti, ad esempio, dalla lettura
della sent. n. 152/1994. Il caso era il seguente: Tizio  e'  imputato
dei reati previsti dagli articoli 13 e 14  della  legge  n.  615/1966
(Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico) per fatti  commessi
prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice della strada (di cui al
decreto  legislativo  n.  285/1992).  La  disposizione  oggetto   del
giudizio e' l'art. 231, cui e' stato riferito un avviso di rettifica,
il quale ha inserito l'inciso «limitatamente al Capo VI», all'interno
della formula di  abrogazione,  che,  altrimenti,  avrebbe  coinvolto
l'intera legge 13 luglio 1966, n. 615». 
    Per parte sua, «Il giudice a quo, nel ricordare che a seguito del
citato avviso di rettifica la legge n. 615 del 1966 risulta abrogata,
non piu' in toto, ma (...) nel solo Capo VI (...), rileva  (...)  che
l'inconveniente  causato  dall'errata  formulazione   dell'art.   231
avrebbe dovuto essere eliminato attraverso  l'adozione  di  un  altro
atto dotato di forza di legge, e non gia'  attraverso  un  avviso  di
rettifica privo di forza di  legge,  di  data,  di  partenita'  e  di
sottoscrizione. Quest'ultimo atto, sottolinea il giudice a quo,  deve
essere impiegato solo per correggere veri e propri  errori  materiali
occorsi nella redazione del testo di una  legge,  e  non  gia',  come
sembra sia avvenuto  nel  caso,  quando  il  testo  di  legge  riveli
incongruenze di contenuto» (n. 1 del Ritenuto in fatto). 
    Quel che segue rileva sotto un duplice  punto  di  vista.  Da  un
lato,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  concorda  con  la   tesi
sostenuta dal remittente circa la nozione di avviso di rettifica, dal
momento che «(...) con l'avviso di  rettifica  censurato  non  si  e'
apportata alcuna  innovazione  nell'ordinamento,  ne'  si  e'  inteso
correggere un'incongruenza legislativa, ma si e' semplicemente voluto
rettificare  un  mero  errore  materiale  connesso  all'omissione  di
determinate parole» (n. 2 del Ritenuto in fatto). Ma v'e' di  piu'  e
di senz'altro decisivo: «A riprova di cio' (...), vale il rilievo che
quel che si e' introdotto con tale rettifica era gia' implicito nella
norma  corretta   ed   era   desumibile   dalla   stessa   attraverso
un'interpretazione sistematica. Infatti, considerato che  l'art.  231
e' contenuto nel Codice della strada, l'abrogazione  della  legge  n.
615 del 1966 non avrebbe potuto riguardare altro  che  l'inquinamento
connesso alla circolazione dei veicoli a motore» (ivi). 
    D'altro lato, la Corte osserva che, cosi' posta, la questione non
riguarda la  legittimita'  costituzionale  del  decreto  legislativo,
poiche' «(...) e' in realta' quest'ultimo avviso l'effettivo  oggetto
del  giudizio  promosso  dal  medesimo  giudice  rimettente»;  avviso
(comunicato), «il quale e' frutto di un'operazione rientrante fra  le
attivita' imputate alla responsabilita' del Presidente del  Consiglio
dei ministri, attivita' che in  nessun  caso  si  conclude  con  atti
qualificabili come aventi valore di legge, anche  ai  soli  fini  del
radicamento  presso  questa  Corte  del  giudizio   di   legittimita'
costituzionale» (n. 2 del Considerato in diritto). Aggiunge la Corte,
che   l'essere,   quella   erroneamente   indicata,   «un'abrogazione
'apparente', lo si sarebbe potuto «dedurre in via interpretativa» dai
criteri direttivi fissati nella legge di delega 13  giugno  1991,  n.
190 (ivi). Il che induce ad affermare - poste simili premesse  -  che
«(...) non si  puo'  in  alcun  modo  dubitare  che  l'errore  si  e'
verificato, non nel momento della formazione  dell'atto  legislativo,
ma in quello successivo della sua comunicazione (...)» (ivi). 
    Se cosi'  e',  la  questione  sollevata  in  via  incidentale  e'
inammissibile, perche' non concerne una legge o un atto avente  forza
di legge, fermo restando -nota conclusivamente la Corte - che  «(...)
il sindacato della Corte  costituzionale  puo'  essere  attivato  dai
titolari del potere legislativo soltanto nelle  evenienze  suscettive
di configurare ipotesi di conflitto di attribuzione» (ivi). quel  che
accade nell'odierno giudizio. 
    Ad altro, ma significativo proposito, con la sentenza  n.  5/2014
si  e'  ribadito  che  la  rettifica  non  puo'  avere   ad   oggetto
«incongruenze  di  contenuto»  (sent.  n.  152/1994).  Infatti,   «In
proposito e' importante  ricordare  che,  in  un  comunicato  del  22
ottobre 2010 del Ministero della difesa, il Ministro aveva reso  noto
che l'inserimento del decreto legislativo n. 43 del 1948 tra le norme
da abrogare elencate nell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del
2010  era  erroneo.  Conseguentemente,  l'Ufficio   legislativo   del
Ministero della difesa ne aveva 'proposto la correzione con procedura
di  rettifica  di  errore  materiale  da  pubblicare  nella  Gazzetta
Ufficiale, ma questa soluzione non era stata  condivisa  dall'Ufficio
legislativo  del  Dipartimento  per  la  semplificazione   normativa,
co-proponente del Codice» (sent. n. 5/2014, n. 6.3.  del  Considerato
in diritto). 
    Nella Gazzetta Ufficiale, 3ª Serie speciale - n. 18, del 6 maggio
2017, si legge -  in  merito  all'avviso  di  rettifica  della  legge
regionale 25 ottobre 2016, n. 19, del Piemonte - che, «A  seguito  di
mero errore materiale  (...),  e'  stato  erroneamente  riportato  il
riferimento al comma 2 anziche' al comma  3».  Per  un  principio  di
prova della fondatezza del conflitto. 
    5) Se ne desume, a chiare lettere, tra l'altro: 
        che  un  avviso  di  rettifica   non   puo'   correggere   la
formulazione errata di un disposto, quando la  medesima  riguarda  il
contenuto di un atto nommtivo; 
        in tal caso, e' indispensabile intervenga  una  deliberazione
ad hoc dell'organo competente: Governo o Parlamento; 
        infatti, con l'avviso  di  rettifica  si  possono  correggere
soltanto errori  materiali,  che  hanno  travisato  la  volonta'  del
deliberante; 
        ci  si  trova  di  fronte  a  una  mera  rettifica  e  non  a
incongruenze di contenuto, allorche' la stessa e' riconducibile a  un
enunciato  esistente   (ricavato   o   attraverso   l'interpretazione
sistematica  o  perche'  contenuto  in  una  delega  legislativa,  ad
esempio) e vigente, gia' posto dal legislatore: il che  esclude  ogni
innovazione dell'ordinamento; 
        ove l'impugnativa attenga a un avviso di rettifica - che  non
e' atto legislativo, ma del Guardasigilli (art. 14  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  217/1986)  o  del  Presidente  del
Consiglio dei  ministri  (art.  15)  -,  essa  puo'  essere  proposta
attraverso un conflitto di attribuzioni. 
    6) A parere della Regione Veneto, l'Avviso di rettifica - di  cui
al Comunicato apparso nella Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2020, n.
129 - non  possiede  i  caratteri  che  sia  la  relativa  disciplina
giuridica (art. 8 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
1092/1985 e articoli  14  e  15  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 217/1986), sia la giurisprudenza  costituzionale  hanno
limpidamente delineato. 
    Infatti, nulla e' dato sapere circa la data, la paternita'  e  la
sottoscrizione del nuovo enunciato (volendo esprimersi con le  parole
del giudice  rimettente,  nella  causa  decisa  con  la  sentenza  n.
152/1994). 
    In secondo luogo, se di errore materiale si tratta - ma  non  e',
all'evidenza, cosi', per quel che si dira' tra un istante -, c'e'  da
osservare che tra la deliberazione del Consiglio dei ministri (del 13
maggio 2020) e la rettifica (del 20  maggio  2020)  e'  trascorso  un
tempo non breve, per verificare  se  i  comuni  de  quibus  dovessero
essere ammessi oppure no a godere delle risorse  stanziate  dall'art.
112 del decreto-legge n. 34/2020. Si trattava e si  tratta -  come  i
fatti hanno dimostrato - di una questione politicamente rilevante, ad
alta tensione. 
    In  terzo  luogo,  il  citato  Avviso  contiene   due   ulteriori
rettifiche, che non hanno nulla di innovativo: nel senso che all'art.
226,  l'  comma,  si  indicano  le  procedure,   cui   far   ricorso,
relativamente al  «Fondo  di  aiuti  europei  agli  indigenti  (FEAD)
2014-2020», che concerne il decisum, la  cui  omissione  puo'  essere
dipesa  da  un'imprecisione  puramente   tecnica;   mentre   all'art.
249, primo comma, si sostituisce il rinvio all'art. 250 con il rinvio
all'art. 247. 
    In quarto luogo, la modifica in questione - di cui qui si discute
e di cui si mette in dubbio la legittimita' - e' di ben altra natura,
come  si  ricava  dalla  piu'  piana  e  lineare  lettura  del  testo
dell'Avviso di rettifica. 
    In quinto luogo, il testo originario dell'art.  112  e'  coerente
con quanto in precedenza stabilito dallo Stato: in  particolare,  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 (v. sub 4 del fatto). 
    In sesto luogo, l'Avviso di rettifica non e' tale -  perche'  non
corregge un errore materiale -, in quanto la scelta operata e'  priva
di motivazione, che avrebbe dovuto essere resa esplicita, allo  scopo
di rendere palesi le ragioni di quello che e' apparso ed e' una sorta
di stralcio sanzionatorio. 
    In settimo luogo, non e' azzardato supporre che la rettifica  sia
avvenuta senza che la stessa sia  stata  sottoposta,  a  conferma  di
quanto  stabilito  effettivamente  dal  Consiglio  dei  ministri,  al
Presidente del Consiglio (giurista di professione) e al Ministro  per
le Regioni, entrambi ben consapevoli di quanto per l'innanzi da  essi
stessi deciso in merito alle zone rosse. 
    In ottavo luogo, se l'estromissione dei  comuni  ricadenti  nelle
zone rosse delle Province di Padova, Treviso e  Venezia  fosse  stata
deliberata il giorno della seduta del Consiglio dei ministri  (il  13
maggio 2020), c'e' da credere che la notizia, nel frattempo (fino  al
19 maggio 2020), sarebbe trapelata: ma cosi' non e' stato. 
    Infine, non  e'  possibile  desumere  da  altro  testo  normativo
vigente (anzi, da quelli vigenti si evince l'esatto contrario)  o  in
forza  di  un'interpretazione  sistematica  quel  che  la   rettifica
dispone.  Appunto,  dispone  diversamente,  sul  piano   sostanziale,
rispetto al testo rettificato. 
    7) Sulla base delle  considerazioni  svolte,  la  Regione  Veneto
ritiene che l'Avviso  di  rettifica  (relativo  al  decreto-legge  19
maggio 2020, n. 34), pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  Serie
generale del 20 maggio 2020, n.  129,  violi  l'art.  77  Cost.,  dal
momento che ha introdotto una modifica dell'enunciato  dell'art.  112
del decreto-legge n. 34/2020 in forma non legislativa. 
    A  questo  profilo  di  illegittimita',  che  riguarda  la  forma
dell'atto,  altri  se  ne  collegano,  tutti   connessi   a   lesioni
sostanziali della legge fondamentale. 
II. Violazione dell'art. 3 Cost. 
    La vicenda descritta deve essere valutata, in primo  luogo,  alla
luce del paramentro costituzionale fissato dall'art. 3, primo comma. 
    a) La Regione Veneto e'  consapevole  della  circostanza  che  la
censura «non» deve assumere «autonomo rilievo rispetto  alle  altre»,
ma deve essere tale da rendere manifesto «un  vulnus  alla  sfera  di
competenza» sua propria, che - nel caso di  specie  -  riguarda,  tra
l'altro,  l'autonomia  amministrativa  e  finanziaria,  di  cui  agli
articoli 118 e 119 Cost. (le citazioni sono riprese dalla sentenza n.
155/2006, n.  4  del  Considerato  in  diritto).  Si  tratta  di  una
giurisprudenza consolidata,  ripetutamente  ribadita:  infatti,  «nei
giudizi in via principale le Regioni sono legittimate a denunciare la
violazione dei parametri riguardanti il  riparto  di  competenze  tra
esse e lo Stato  e  possono  evocarne  altri  soltanto  ove  la  loro
violazione   comporti   una   compromissione    delle    attribuzioni
costituzionalmente garantite» (sent. n. 6/2019, n. 3 del  Considerato
in diritto). Quanto ai conflitti di  attribuzione,  v.,  ad  esempio,
sentenza n. 103/2004. 
    E'   richiesto,   poi,   che   «le   stesse   Regioni    motivino
sufficientemente in ordine ai profili  di  una  possibile  ridondanza
della predetta  violazione  sul  riparto  di  competenze,  assolvendo
all'onere  di  operare  la  necessaria  indicazione  della  specifica
competenza regionale che ne risulterebbe offesa e  delle  ragioni  di
tale lesione» (sent. n. 56/2020, in  Guida  al  Diritto,  n.  19,  25
aprile 2020, 104, n. 6.2. del Considerato in diritto). 
    Nel caso in esame, lo Stato  ha  deciso  di  erogare  provvidenze
fmanziarie a favore di Comuni,  colpiti  in  maniera  particolarmente
virulenta da Covid-19. Sono state messe a  dura  prova  le  strutture
sanitarie interessate e il personale sanitario, e non solo, coinvolto
(medici, infermieri, amministrativi,  volontari...).  Tutto  cio'  ha
comportato l'erogazione di prestazioni e servizi, che hanno implicato
acquisti rilevanti, ad esempio, di beni; la riapertura  di  strutture
chiuse,  a  motivo  della  cosiddetta  razionalizzazione  della  rete
ospedaliera; l'assunzione di personale,  in  base  alle  disposizioni
legislative facoltizzanti stabilite dal legislatore statale  (v.,  ad
es., l'art. 1 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24  aprile  2020,  n.  27).  Le  comunita'
locali hanno subito danni gravissimi sul piano economico e sociale. 
    Alla Regione sono attribuite - oltre che una potesta' legislativa
concorrente,  ex  art.  117,  3°  comma,   Cost.   -   una   potesta'
amministrativa (art. 118 Cost.) ed una finanziaria (art. 119  Cost.).
E' fuori discussione che, ove i Comuni, ricompresi  nella  cosiddetta
zona rossa delle  Province  di  Padova,  Treviso  e  Venezia  fossero
ammessi  ad  usufruire  dei  benefici,  di  cui  all'art.   112   del
decreto-legge n. 34/2020, questi diverrebbero risorsa da includere in
una  posta  di  bilancio,  in  entrata  e  in  uscita,  alla  voce  -
presumibilmente - «interventi di sostegno di  carattere  economico  e
sociale connessi con l'ernergenza sanitaria Covid-19» (ex  art.  112,
cit.). Dall'esclusione, consegue l'evidente menomazione di competenze
attinenti l'amministrazione e la fmanza, che  la  Regione  Veneto  fa
valere, anche ai sensi dell'art. 32, secondo comma,  della  legge  n.
87/1953, con specifico riferimento alla sfera di  autonomia  -  oltre
che propria - degli enti locali (v., ad  es.,  Corte  costituzionale,
sentenza   n.   298/2009).   Tra   l'altro,   l'assenza   di   queste
disponibilita' da parte dei  Comuni,  l'obblighera'  ad  intervenire,
sottraendo,  in  tal  modo,  risorse,  oggetto  di  proprie  autonome
determinazioni,  destinate   a   fronteggiare   urgenze   dell'intera
comunita' regionale. 
    b) Con specifico riferimento al caso in esame - vale a dire, alla
questione di merito -, l'esclusione operata  attraverso  l'Avviso  di
rettifica configura la piu' classica  violazione  dell'art.  3, primo
comma, Cost., dal momento che l'esclusione dei  comuni  ricadenti  in
zona rossa delle Province di Padova, Treviso e  Venezia  (qualificate
come tali dalla normativa statale:  v.  sub  4  del  fatto)  risulta,
proprio  con   riferimento   alle   scelte   operate   dallo   Stato,
irragionevole. Tutto cio', ove si considerino - in linea  generale  -
la portata e le implicazioni del tertium comparationis, che  consente
di far emergere, appunto, «la  ragionevolezza  delle  classificazioni
legislative: ragionevolezza che non si risolve (...)  nell'intrinseca
bonta' delle scelte effettuate dal Parlamento, ma riguarda  piuttosto
la coerenza delle differenziazioni (o delle assimilazioni) in  esame,
valutata nel rapporto con il trattamento che le  leggi  riservino  ad
altre categorie  o  ad  altre  fattispecie,  comparabili  con  quella
contestata» (L. Paladin, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1998,
168). 
    Cio' che qui si lamenta e' l'effetto generato dall'esclusione (o,
se si preferisce, dalla mancata  inclusione)  di  enti,  che  versano
nelle medesime condizioni degli enti inclusi tra i destinatari  delle
risorse  assegnate   al   fondo   contemplato   dall'art.   112   del
decreto-legge  n.  34/2020:  il  trattamento  avrebbe  dovuto  essere
identico, come, del  resto,  era  previsto  dall'enunciato  normativo
rettificato (inutile diffondersi in richiami  di  una  giurisprudenza
costituzionale vastissima: v., ad es., sentenza n. 68 e n.  236/2012,
nonche', per la puntualita' delle riprese, A. Ruggeri -  A.  Spadaro,
Lineamenti di giustizia costituzionale, Giappichelli,  Torino,  2019,
140 ss.). 
III. Violazione degli articoli 5, 97, 114, 118 e 119 Cost. 
    Si  e'  sostenuto,  con  indiscutibile  autorevolezza   in   sede
dottrinale (ci si riferisce, in particolare, a G. Berti, art.  5,  in
AA.VV.,  Commentario  della  Costituzione,  a  cura  di  G.   Branca,
Zanichelli-I1 Foro Italiano, Bologna-Roma, 1975, 277 ss.), che da una
aggiornata lettura della Costituzione si ricava l'«annuncio (...)  di
un ordine dove l'unita'  statale  non  ha  piu'  valore  come  unita'
giuridico anuninistrativa  ma  acquista  valore  nell'unita'  di  una
societa' che, obbedendo a comuni regole di condotta e di  linguaggio,
si amministra mediante strutture adatte ai vari  livelli  e  ai  vari
gruppi sociali». Da cio' un corollario: tra i vari enti, le  relative
comunita' e gli apparati serventi esiste un continuum,  destinato  ad
inverarsi  in  presenza  di   situazioni   comuni,   che   comportano
l'applicazione   del   principio   di   solidarieta',    oltre    che
dell'eguaglianza (ex articoli 2 e 3 Cost.). 
    a) Il mancato rispetto oppure la declinazione scorretta di queste
regole essenziali implica che si finisca per ledere, anzitutto,  quel
che stabilisce l'art.  5  Cost.,  la'  dove  il  medesimo  impone  di
coordinare fra loro il principio autonomistico (e pluralistico) e  il
principio unitario. Nel caso in esame, il  vulnus  e'  indiscutibile,
dal momento che l'esclusione dal Fondo - a parita'  di  condizioni  -
produce il singolare effetto di beneficare  due  volte  le  comunita'
territoriali ammesse: per  la  parte  spettante  e  per  quella,  non
spettante,  acquisita  a  carico  dei  beneficiari   illegittimamente
esclusi; di discriminare le relative  popolazioni;  di  obbligare  la
Regione ad attivarsi per, quantomeno, ridurre lo svantaggio derivante
da  quel  che  e'  illegittimamente  stabilito  dall'art.   112   del
decreto-legge n. 34/2020. Il che comporta - a  parere  della  Regione
Veneto -  una  lesione  -  proprio  da  parte  dello  Stato,  garante
dell'unita'  della  Repubblica  -  del  relativo  principio,  perche'
riserva trattamenti differenziati a centri di autonomia, che  versano
nelle medesime condizioni. E  l'impoverimento  economico-finanziario,
determinato da una irragionevole sottrazione  di  risorse,  comporta,
paradossalmente,  che  venga  disattesa   l'uniformita'   di   regime
giuridico, quando  essa  e'  essenziale.  E'  un  rilievo,  che  pare
scontato  a  lume  di  buon  senso;   fondato,   peraltro,   su   una
articolatissima  giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma  Corte,  che  ha
sistematicamente ricavato, dalle singole  fattispecie  concrete,  una
lettura dinamica e aggiornata dell'art.  5  Cost.  [v.,  ad  es.,  F.
Benelli, Art. 5, in AA.VV., Commentarlo breve  alla  Costituzione,  a
cura di S. Bartole e R. Bin, Cedam, Padova, 2008, spec.  51,  nonche'
Corte costituzionale, sentenza n. 171/2018, ove si valorizza,  se  in
presenza di  fattispecie  diseguali,  l'apporto  collaborativo  delle
Regioni.  Infatti,  ferme  restando  le   «linee   di   indirizzo   e
coordinamento tracciate a livello centrale (...).  Quanto  affermato,
nondimeno, non esclude che, al fine di assicurare  la  partecipazione
dei diversi livelli di Governo coinvolti, l'esercizio delle  funzioni
amministrative sia improntato al  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione  (sentenza  n.  58  del  2007).  Le  esigenze  di  una
disciplina  unitaria,  d'altronde,  in  un  ordinamento  a  struttura
regionalista fondato sui  principi  di  cui  all'art.  5  Cost.,  non
possono ignorare la tutela delle autonomie  territoriali,  attraverso
strumenti idonei a fornire risposte  pragmatiche  e  sufficientemente
flessibili, specie nei casi nei quali lo Stato, pur nell'esercizio di
sue competenze esclusive, interferisce con  materie  attribuite  alle
Regioni (sentenza n. 61 del 2018)»:  n.  7.3.2.  del  Considerato  in
diritto, quale sorta di prova a contrario]. 
    b) E' leso, quindi, l'art. 97 Cost., che ha ad  oggetto  il  buon
Governo e la buona amministrazione, cui attende la legge n. 241/1990,
ove   seriamente   intesa.   Riguarda,   inoltre,    l'imparzialita',
platealmente  disattesa  dall'Avviso  di  rettifica,  che  disciplina
qualunque funzione amministrativa. 
    c) A questi fondamentali disposti si ricollega l'intero Titolo  V
della Parte II della Costituzione. In primo  luogo,  l'art.  114,  il
quale ha ad oggetto la Repubblica e le sue articolazioni  essenziali.
Ove le si discrimini  irragionevolmente,  viene  meno  il  necessario
coordinamento  imparziale  delle   competenze,   le   quali   saranno
esercitate dagli enti territoriali interessati  (nel  caso  concreto,
dal continuum rappresentato dai comuni  ricadenti  nelle  zone  rosse
delle Province di Padova, Treviso e Venezia,  da  un  lato,  e  dalla
Regione Veneto, dall'altro) in condizioni comparativamente degradate;
tuttavia, ingiustificate, essendo noto che -  come  ha  stabilito  il
Giudice delle leggi - l'art. 114 Cost.  non  comporta,  affatto,  una
totale equiparazione fra enti. Equiparazione  indispensabile,  quando
identiche sono le condizioni di fatto e allorche' il discorso cade su
enti della medesima specie: nel caso, su Comuni. 
    d) Sotto quest'ultimo aspetto, ne soffre, pure, l'art. 118 Cost.,
in  quanto  non  sono  rispettati  i  «principi  di   sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza». L'interferenza nell'esercizio delle
funzioni amministrative locali incide sul fatto che «Il  comune  deve
percio' essere considerato prioritariamente rispetto  ad  ogni  altro
ente, nel momento in cui si tratta di decidere dell'allocazione delle
funzioni  amministrative,  comportando  ogni  diversa  soluzione   un
particolare onere di motivazione in capo al  legislatore  (...)»  (L.
Coen, art. 118, in AA.VV., Commentario breve alla Costituzione, cit.,
1066, con richiami di dottrina e giurisprudenza, che  paiono  tuttora
esemplari). Innegabile, nel caso concreto, la menomazione  di  questa
potesta', che ha ad oggetto - come  si  e'  visto  -  «interventi  di
sostegno di carattere economico  e  sociale»  spettanti  -  ai  sensi
dell'art. 112 cit. - ai Comuni. 
    e) Infine, e' violato I'art. 119 Cost. Infatti, in gioco ci  sono
dotazioni finanziarie, che non transiteranno nei bilanci dei  Comuni,
inclusi nelle zone rosse delle Province di Padova, Treviso e Venezia.
Se  cosi'  e',  non  e'  affatto  vero,  per  una  certa   misura   -
corrispondente al mancato beneficio -,  che  «I  comuni  (...)  hanno
autonomia finanziaria di entrata e di spesa». Inutile dire, poi, come
si e' rilevato (v. sub 1), che  questa  sopravvenuta  carenza  dovra'
verosimilmente essere,  almeno  in  parte,  rimediata  dalla  Regione
Veneto, la quale subira' una illegittima compressione  dell'autonomia
fmanziaria propria. A motivo di una perversa  attuazione  -  pare  di
poter dire - del principio dei vasi comunicanti.